
Il tempo sospeso, dove spesso si trattiene il fiato, si sta in silenzio o si dialoga con parole ricche di senso, si rimane nel qui ed ora, tra le mura di una struttura per le cure palliative. (immagine di apertura AI GEMINI)
Chi ha attraversato l’esperienza dell’hospice sa benissimo cosa significhi trascorrere ore con il proprio caro, in una struttura che comunque non è la propria casa, in un momento sospeso di attesa, in un limbo che sembra fuori dal tempo, dove tutto rallenta, ed ogni gesto, ogni fiato, assumono un valore importante e sacro.
Limen e limes:
limen deriva dal greco limen (porto, rifugio) e indica una soglia, un inizio o un confine in senso più inclusivo e passivo. Limes deriva invece da limus (trasversale, obliquo) e si riferisce a una linea di confine, frontiera fortificata o limite in senso più difensivo e attivo, spesso legato alla conquista e alla separazione.
qui il mio editoriale su “il limite” di Riflettori su Magazine
È una terra di confine, dove il “limite” non è una fortificazione, ma una barriera permeabile, come la nostra pelle, da dove passano persone, ricordi, sensazioni, emozioni ed Amore.
Un “qui e ora” che mescola insieme tempi e luoghi, uno scambio che arricchisce non solo il paziente, ma anche tutti coloro che varcano quella soglia.
L’etimologia di “palliative” deriva dal latino pallium, che significa “mantello” o “protezione”. Questo termine indica l’idea di proteggere e coprire i bisogni del paziente, come un mantello che offre riparo e calore.
Se il percorso medico c’è ed è importante, il rapporto “di umanità” tra pazienti, famigliari e operatori sanitari assume un valore estremo, denso di significato.
In ogni hospice, diventa così davvero importante creare “benessere”, il più possibile, intorno a quel nucleo di cuore che è la persona allettata e chi gli sta intorno.

Chi mi segue sa che da anni, propugno – anzi no, è un termine troppo duro – PROMUOVO il concetto di ben-essere per l’essere umano tramite le arti, la bellezza e tutto quello che può portare “cura” non solo alle persone malate, ma per ciascun essere vivente.
Da anni, numerosi studi hanno dimostrato che le attività artistiche, ma anche la meditazione ed il processo creativo in generale, riducono lo stress e l’ansia, migliorano l’espressione emotiva, la socializzazione e la comunicazione, aumentano l’autostima, potenziano le attività cognitive, fino a migliorare la gestione del dolore.
Nell’Hospice di Cologno Monzese – Fondazione Mantovani, in provincia di Milano, una frase campeggia da un cartello appeso in uno dei corridoi, che compongono il quadrilatero di 8 stanze: “Per chi vuole vederli, ci sono fiori dappertutto”.
8 camere ed un’accogliente sala destinata ai familiari, dove, oltre a qualche tavolino, fiori, una tv e qualche quadro, si trovano appesi pensieri dei parenti che ringraziano gli operatori della struttura, e lasciano un ricordo.
Una piccola cucina che “sa di casa”, dove si può gustare un caffè insieme, quando la luce del mattino entra dalle ampie vetrate, spesso delicatamente coperte da tendaggi dai colori tenui.
Oltre alla parte logistica, un’equipe operativa h24 ed altamente specializzata: 3 medici, 5 infermieri, 5 OSS, 1 psicologo, 1 assistente sociale, 1 sacerdote, 1 fisioterapista, 1 dietologo, e un’educatrice (con la quale abbiamo parlato), con l’attività di coordinamento della signora Cristina.
È il Progetto Vita che guida da sempre le attività di Fondazione Mantovani: promuovere e difendere la dignità delle persone fino al compimento della vita.
Un obiettivo che in questa “Casa Famiglia” viene realizzato quotidianamente.

“Tutto chiede salvezza”, recita un romanzo che è diventato serie tv, scritto da Daniele Mencarelli. (cliccate sul link per la mia intervista agli autori)
Tutto contribuisce al sostegno, perché anche tra queste mura si può ritrovare bellezza, si può avere un abbraccio sincero di persone sconosciute o si può parlare liberamente, dando voce a quelle emozioni che sono state sopite, magari, per troppo tempo.
Perché vedete, la fragilità dell’uomo, la sua vulnerabilità, può diventare un momento sacro proprio, come nella filosofia giapponese degli eterei fiori di ciliegio.
All’Hospice di Cologno, ho parlato per voi con la dott.ssa Manuela Dozio (educatrice e psicologa), con la collaborazione di d.ssa Carmen Pellegrino (Medico Responsabile) e Cristina Grandini (Caposala), che ci hanno dato un delicato ritratto di cosa si vive in quelle mura, grazie al loro lavoro ed alla introduzione di quegli aiuti “non convenzionali” che si affiancano alle cure palliative. (FOTO DI GRUPPO SOTTO).
Successivamente, in questo articolo, troverete la testimonianza di Alessandra Villa, Pet Therapist (di cui ho inserito anche una piccola miniintervista), che ho conosciuto in hospice insieme alla piccola Ginger.
Sono profondamente grata a tutti questi professionisti, che hanno accettato di percorrere questo viaggio insieme a me, un viaggio nelle parole che – spesso – curano e che spero possano portare frutto, anche grazie a questo editoriale.

HOSPICE DI COLOGNO MONZESE E TERAPIE COMPLEMENTARI
“Dietro la spinta di chi crede nella possibilità di tenere viva quella scintilla che anima le persone, anche nei luoghi di “confine” come i servizi di cure palliative, l’équipe multidisciplinare dell’Hospice di Cologno Monzese, da ormai alcuni anni, lavora nella direzione di prendersi cura del paziente in ogni sua sfumatura. Non soltanto nei suoi aspetti più strettamente medici ed assistenziali definiti dalla condizione clinica, ma anche in direzione delle sue possibilità, tante, di espressione del sé, dei suoi desideri e delle sue emozioni, di occasioni da realizzare, ricordi da condividere e di momenti significativi da costruire insieme ai cari.
Spazi fisici e temporali dove poter lasciare una traccia, specialmente nel cuore di chi è accanto al paziente terminale nell’ultima fase della propria vita.
Perché se le cure palliative sono destinate a paziente inguaribili, è vero anche che l’inguaribilità non è sinonimo di incurabilità e, per l’équipe, ad essere preso in carico non è soltanto il tal paziente ma, di volta in volta, quella persona, con la sua unicità, la sua storia di vita, i suoi desideri e la sua rete familiare ed amicale: aspetti di vita da continuare a valorizzare anche dentro le fatiche della malattia.
Diversi gli interventi realizzati in questi ultimi anni, con il sostegno del Direttore dell’Ente Gestore Giacomo Di Capua che ha sempre creduto nell’ importanza di introdurre queste proposte, complementari alle cure farmacologiche, all’interno del servizio Hospice.
Nel 2024 è stato realizzato un progetto di ARPATERAPIA, che ha visto coinvolti almeno 55 pazienti (e anche molti dei loro familiari) all’interno delle loro stanze, con interventi terapeutici volti ad aiutare la persona ad esprimere sentimenti ed emozioni, anche i più dolorosi e difficili da comunicare.

Dal desiderio di una paziente di “poter vedere il mare per un’ultima volta”, è stato introdotto l’uso di un visore per la realtà virtuale, utilizzato con chi vorrebbe rivedere luoghi di infanzia o immagini collegate alla storia personale: abbiamo così viaggiato dal mare di Sardegna a quello della Liguria fino a Mosca, con una signora di origini russe, risvegliando così ricordi e vissuti.
Dall’inizio del 2025 è operativa una professionista d’IAA (Interventi Assistiti con Animali) che a cadenza bisettimanale fa visita ai pazienti portando l’allegria e l’amorevolezza dei suoi Golden Retriever, Ginger e Frida. Un’esperienza, quella della PET THERAPY, finalizzata a far vivere ai pazienti esperienze di gioia, di conforto e di contatto accogliente e caloroso e che ha regalato a molti di loro quel senso di pace, spesso faticoso, da esperire in questi momenti. Un tipo di intervento, la pet therapy, nuova anche per il servizio ma che ha rivelato buoni risultati terapeutici, con delle risposte corporee ed emotive significative anche nei pazienti molto compromessi dalla malattia.
Oltre a questi interventi più strutturati, tanti i momenti costruiti con la collaborazione dei familiari dei pazienti: feste di compleanno, pranzi speciali con i familiari, laboratori di pittura e di cucina.
Ognuna di queste esperienze non è arrivata mai casualmente, ma sempre pensata per quella persona nella sua particolarità e realizzata con le idee e la collaborazione di tutta l’équipe, composta da professionisti che non erogano solo un servizio ma operano nella convinzione che “anche quando non c’è più niente da fare, c’è ancora molto da fare!”.
La volontà è riconoscere ogni paziente nella sua unicità, anche fra una medicazione, una flebo o un antidolorifico, valorizzando il bello che la vita può ancora regalargli”.
La Pet Therapy in Hospice: la storia di Alessandra Villa
Può un animale cambiarti, farti trovare la strada che cercavi, insegnarti il senso profondo della gentilezza? Si
Mi chiamo Alessandra Villa e grazie a Frida, il mio primo Golden retriever ho trovato tutto questo. La sua innata predisposizione ad avvicinare qualunque persona in qualsiasi contesto mi ha portato verso il percorso formativo che abbiamo intrapreso insieme. Il suo porsi verso l’altro, la sua delicatezza il profondo rispetto degli spazi, il suo esserti accanto senza richieste è stata una cura educativa, nata ancora prima di conoscere il senso stesso del termine.

Così ho deciso di dare concretezza a questo suo dono e al mio desiderio di stare con le persone. Abbiamo iniziato la nostra formazione e più andavo avanti e scoprivo la bellezza di questo percorso, più mi chiedevo quando sarei stata pronta come lei lo era da sempre. Un passo dopo l’altro siamo diventate un binomio e ora ci occupiamo di IAA Interventi Assistiti con Animali) comunemente chiamati Pet therapy.
Non potrò mai dimenticare che faccio questo lavoro grazie al profondo amore di Frida nei confronti di ogni essere umano. Oggi lavoriamo in scuole, strutture, ospedali, asili, portando lei il suo dono e le sue abilità acquisite io la mia conoscenza e formazione con la quale creo il ponte che collega e modera questi incontri. La pet therapy per me è un lento e inarrestabile processo di crescita personale, di crescita della relazione col cane, di relazione fra tutti i soggetti coinvolti e promuove un continuo divenire per sé stessi e per gli altri.
È il senso di cura nel qui e ora Non importa quale persona, con quale difficoltà, in che momento della sua vita, l’incontro fra l’essere umano e il cane azzera nell’immediato ogni senso di paura nel mostrarsi perché Negli occhi di un cane non si troverà mai il giudizio. Grazie a questo si sciolgono dubbi, paure, reticenze, si entra in quella dimensione che molti cercano ma che per il cane è naturale: il qui e ora. Grazie a questa sua disinvoltura nel viverlo riesce sempre a portare con sé chi gli è accanto. Ed è così che due diverse identità si parlano, con quel muto linguaggio che sa accarezzare l’anima, la tensione si attenua, lo stress si riduce e inizia quella danza dove il cane arrivato per prendersi cura di qualcuno, viene a sua volta accudito restituendo quel senso di parità. Si entra in una relazione che trasforma l’aver cura dell’altro in aver cura insieme all’altro.
La pet therapy può essere fatta di attimi, come quando si lavora in hospice, o di mesi, come quando si lavora con persone in difficoltà, ma l’obiettivo non cambia resta sempre quello di aiutare l’altro, attraverso il cane, ad essere libero di conoscersi, sperimentare, provare emozioni, sensazioni, poter essere sé stesso senza interferenze e giudizi. Oggi con me oltre a Frida, c’è Ginger e presto arriverà Grace. Sono cani molto differenti fra loro e questa diversità per me è un grande valore aggiunto. Sono Alessandra Villa e ho avuto la fortuna d’incrociare nella mia vita Frida.

Per diventare pet therapist, esistono percorsi formativi specifici per gli Interventi Assistiti con gli Animali (IAA) che includono corsi teorici e pratici, a seguito dei quali si ottiene un attestato di idoneità. Al finire dello stesso ci si registra a Digital Pet che è l’elenco nazionale dei professionisti abilitati per poter lavorare legalmente. È fondamentale avere una forte predisposizione al lavoro in ambiti socio-sanitari con persone di ogni genere e condizione.
Dai bambini agli anziani, persone normo o diversamente abili. Ultimo, e non meno importante, alla fine di tutto cuore ed empatia. Come vengono scelti i cani Non è necessario siano di una razza specifica ma è fondamentale che siano calmi, socievoli, predisposti a stare con le persone. Occorre abbiano una buona educazione di base, un buon affiatamento con il coadiutore con il quale condivideranno il percorso di formazione, arrivando così a formare il binomio. Successivamente è richiesta una valutazione di idoneità specifica per l’animale, svolta da un veterinario esperto in IAA.
Per info e contatti Alessandra Villa Coadiutore del cane Responsabile di attività AAA Regolarmente iscritta all’albo N° E3544 3476363300 Avsunrise@gmail.com
